Valentina

Valentina è il nome che per me è stato scelto.

È mio padre ad aver avuto la meglio su Ariana, nome col quale mia madre avrebbe voluto chiamarmi. Valentina, è pure il nome della mia amata nonna paterna, con la quale ho condiviso 35 compleanni e un sentimento viscerale.

Sono stata concepita in un mese di maggio, in Nicaragua, luogo natale di mia madre, terra di laghi e vulcani, di frutti esotici ed uccelli coloratissimi, al centro dell’America e di due oceani.

Subitamente i miei genitori si sono stabiliti in Italia. Entrambi dediti all’arte, il babbo aveva terminato il suo progetto lavorativo che lo aveva reso ospite lì per 7 anni.

Tempo sufficiente per sentirmi impregnata di quei sapori, di quei colori e di materna nostalgia.

Sono nata un poco prima di un mezzogiorno d’inverno, il 6 di febbraio, in un borgo della regione Marche che porta il nome del mare pur ergendosi in una modesta collina. È stato un parto cesareo, in quanto poco tempo prima, ho dovuto invertire la rotta di marcia.

È fin qui che sento narrare della mia storia; appena “gli inizi”, dotati di grande potere condizionante; quelle impronte-bagaglio di cui siamo portatori, depositari, custodi.

Per quanto concerne il tempo a seguire, mi piace pensarlo, sentirlo, avvertirlo, immaginarlo come una finestra dalla quale poter godere di un sole sempre nuovo.

D’altro canto, presentarmi, è sempre stata una grossa sfida per me e, in parte, lo continua ad essere. Come se nominarmi, descrivermi, occupare il mio posto, scatenasse in me una potente scomodità, oltre al senso di costrizione, restrizione della natura libera e mutevole del mio Essere.

Mi chiedo se davvero possiamo qualificare, designare il perpetuo divenire che siamo.

La vera verità

una bugia bugiarda

chiusa in me.

Ho piacere di aggiungere solo qualche rapida pennellata; come fosse un esiguo album di fotografie, teneramente custodite, di momenti che mi illudo possedere.

Da piccolissima amavo scrivere poesie, le annotavo in un libretto dalla copertina blu che non ho mai più ritrovato. In adolescenza tenevo sempre con me un dizionario dei sinonimi e contrari dalla prima pagina bianca ed arancio. Ho passato considerevole tempo cantando nella mia cameretta negli anni dell’infanzia. Dai 19, ho chiuso il rubinetto della voce, pur svolgendo gran parte delle attività del giorno e della notte con la radio accesa.

L’arte, in tutte le sue declinazioni, mi ha fin dalle origini nutrita e per questo ringrazio mio padre e mia madre.

L’inclinazione all’ascolto, all’osservazione e alla cura, sono leali alleate da che ho memoria. I gatti, i fiori, il mare d’inverno, mio fratello Francesco e mia nonna Valentina, sono stati i miei primi grandi amori.

Milioni di altri nomi, volti, sentieri, zampe, sapori, colori sento oggi di amare, e per questo il mio cuore è un senza fine di gratitudine.

Sono la storia delle generazioni, delle popolazioni che mi hanno preceduta.

Sono il cuore della Terra, del Cielo e del Mare.

Sono il palpito del Cosmo senza fine.

Sono le ferite ed i colpi del mondo.

Sono la delicatezza del fiore.

Sono le mani e gli sguardi che mi hanno allattata.

Sono il volto di chi e cosa amo.

Sono chi non so di essere.

Sono chi sarò.

Sono cosa rimane

se escludo cosa d’essere credo.

Sono

il nulla,

Intero.